lunedì 13 febbraio 2012

Berlino, gli anni del collegio.

Sarà perché l'ho letto in questi giorni di maltempo del tutto eccezionali, che non mi hanno reso difficile immaginare i corridoi scavati nella neve come punizione. Sarà perché nella vicenda affiorano in superficie gli anni di piombo, come detriti portati a riva dalle onde. "Il corridoio di legno" è  l'iniziazione crepuscolare alla narrativa di Giorgio Manacorda.  Ecco cosa mi è piaciuto:

- l'Holtzgang, il luogo. Il corridoio di legno dove i bambini si trasformano in bestie feroci, in spietati caporali, in guerrieri primitivi, in idealisti, in uomini;
- il gruppo, che si trasforma in branco. Nato dalla cattività in una semi-prigione dove la condivisione viene imposta come un castigo. La consapevolezza dell'espiazione comune non fa altro che rendere questi precoci angeli caduti  ancora più identici nella solitudine;
- la tragicità dei personaggi, le loro passioni vissute al limite e la figura romantica del cattivo, Silvestro, il compagno traditore, l'innamorato pazzo, il tiranno solo;
- il linguaggio opaco e denso, le riflessioni così inscindibili dai fatti che non ti permettono di mollare la presa sulla narrazione. Devi leggere non tanto per capire come la storia andrà a finire, perché sai già da subito che non ci sarà un finale. Leggi per quell'attacamento primordiale al dolore e quel gusto del barocco che si nascondono dietro alla storia italiana. 
- l'insalubrità dell'aria. Il racconto epistolare di Andrea è un sifilitico brancolare negli avvenimenti, è il tremolio di un miraggio, la visione dettata dalle febbri della memoria, dell'alcol, dell'immaginazione. Ci si sente stanchi, come a dover ascoltare la verità di un pazzo senza poter fare affidamento su nient'altro. 

Leggetelo chiusi in casa.


Il corridoio di legno, Giorgio Manacorda, Voland (2012).


Nessun commento:

Posta un commento