martedì 29 novembre 2011

A cosa servono gli amori infelici, di Gilberto Severini.



A cosa servono gli amori infelici. Il titolo d'un manuale d'istruzioni. Sono qui in un letto d'ospedale, non ho doveri, non ho urgenze, devo solo tenermi impegnato nella mia condizione di degenza, dove il tempo assume delle curve proprie, simili alle traiettorie disegnate dal pulviscolo alla luce del sole. 
In questo limbo asettico da corsia prendo appunti, senza uno scopo. Strato dopo strato, faccio l'analisi logica alla realtà su questi fogli di carta rimediati, che sembrano quelli di brutta delle scuole. Trovo il modo di rispondere, anche a chi non mi ha mai chiesto niente. Anche a me stesso. Anche a Gesù, che non so se esiste e non me ne è mai importato più di tanto. L'amore. L'amore io l'ho sempre subìto, sono stato il suo giocattolo per anni. L'oggetto del desiderio, mi muovevo su una scena forzata, preparata per me senza che lo sospettassi. 
L'amore mi ha voluto, mi ha sedotto travestendosi di nobili sentimenti e poi si è tolto la maschera. Crudelmente, sorprendendomi spalle al muro. Trovando in me la fanciullesca purezza nutrita dai ricordi di un'amicizia dal sentore di fieno, l'amore colto in fallo ha cominciato a spiarmi a lungo, nutrendosi della mia intimità. Mi ha trasformato in un attore, in un catalizzatore di passioni destinate ad inaridirsi, a partorire aborti di felicità e poi a spegnersi ingrigendo come le ceneri. Io ero oggetto della passione inconfessabile, carburante del senso di colpa, e mi trasformavo in un peso. In quel grumo che prende vita nel petto, senza saperne uscire, nonostante le lacrime, i sillogismi, le metafore e le poesie. Io ero la vergogna fattasi carne; io, così cerebrale e indifeso. Io ero diventato per gli altri, gli spettatori passionali e attivi, l'inadeguatezza e la frustrazione, la stessa che ho provato quando la storia mi è sfilata davanti, palpabile e sudata, con i colori della gioventù in rivolta. Quando io, troppo vecchio e di nuovo troppo cerebrale, non me la sono sentita. Nel mio blazer blu, mi sono confermato uomo d'aria, uomo del tutto e del niente, il fantasma dei discorsi retorici. 
Ora scrivo. Ora ho tempo. Ora sto per morire, o forse no. In ogni caso, sto per varcare la soglia, con la mia carne che a poco è servita e con il mio bagaglio di pensieri da distribuire. Scrivo queste ricette con la punta delle dita, con la delicatezza professionale del medico che annuncia la complicazione al paziente. Carta e penna i miei ferri del mestiere, posso finalmente comunicare alle mie vittime, ai miei pazienti, la diagnosi del loro dolore, la risposta alle loro accuse: "Ho trascurato davvero la parte migliore della mia vita?".