mercoledì 10 ottobre 2012

Cinque generazioni di fenomeni.

Uno dei molteplici scopi per cui un blog come questo esiste, è quello di creare delle tracce di appunti più o meno dettagliati per la mia futura autobiografia, che sarà di qualche migliaio di pagine e verrà fatta leggere a ogni cittadino sin dalla prima alfabetizzazione, come quella di Kim Jong-il.

In realtà l'azione scatenante di questo post è uno degli atti inconsapevolmente geniali di una donna il cui senso estetico è molto vicino a quello di Benny Lava: mia madre.
La mia mamma è nota per essere una donna di polso, che prende decisioni irrevocabili in un batter di ciglia e senza scomporsi minimamente. Con lei il danno è sempre fatto, ancora prima che possa essere concepito.
Come dicevo,  infatti, è stata lei in realtà a dare vita a questo post: con il candore degli ignari,  ha fatto ingrandire una vecchia foto risalente al periodo del mio battesimo a dir poco compromettente. Questa foto, che ha subito provocato un moto di irrefrenabile ilarità in me e mio fratello:



Vi siete ripresi? Bene, ora posso iniziare a narrare.

L'importanza dell'immagine di cui sopra deriva dalla sua potenza riassuntiva: vi sono infatti ritratte cinque generazioni di donne della mia famiglia, cinque tappe fondamentali della storia della mia vita.

Al centro, come potete vedere, ci sono io, che per l'occasione sfoggio una tunica bianca che "manco er Papa" e sbadiglio, messicanamente svaccata tra le braccia della mia genitrice, che mi regge fiera come se fossi un piatto di portata. Su di me non c'è molto da dire, ho la stessa faccia di adesso e le mie cellule stanno covando una serie di atti leggendari che verranno espletati più avanti.

Ma andiamo con ordine, partendo dal ramo principale: a destra, di nero vestita e con l'immancabile borsetta-salvavita, Filomena Marelli detta Nonna Filo, la mia bisnonna. Vi fermo subito: se pensate di aver trovato un'oggettiva e inconfutabile prova delle mie origini mediterranee, vi sbagliate. Filomena è più del nord di tutti voi, è solo che ci piacciono le contraddizioni. Purtroppo non l'ho conosciuta a fondo, ma a lei va il merito di aver sfornato ben quattro figlie, una sorta di "famiglia Alcott" de noantri, le Piccole Donne del nervianese: Maria, Emilia, Loredana e Luigia. Ovviamente io sono sempre stata orgogliosissima di avere per bisnonna una sorta di Ispettore Gadget: la "nonna-filo"! Non mi toglierete mai dalla testa che aveva dei super-poteri. Senz'altro era una profeta, ancora adesso porto sul capo la sua pesante condanna: "sarà il bastone della tua vecchiaia", disse un giorno a mia madre.

Maria Dellavedova (sulla sinistra), la primogenita, è la mia nonna, ma sarebbe più corretto chiamarla Nonna Mariuccia, perché ho scoperto il suo vero nome solo in tarda età: a lei devo un sacco di cose e sono certa di somigliarle parecchio. Come lei, infatti, non ho pazienza e basta veramente un nonnulla per accendere un fuoco di fila di improperi, in cui sono quasi insuperabile (mi batte, per ora, mio fratello). Sono sicurissima che arrivi da lei la filosofia dei "mestieri" di casa come terapia: se gli inglesi dicono "when in doubt, bake a cake", noi diciamo "cuand ta s'è inversa, fa' i miste'"! E via! A lei devo anche e soprattutto un senso di superiorità genetico nei confronti dell'uomo "maschio" e dell'uomo in generale: avreste dovuto sentire gli affettuosissimi epiteti  appioppati al Nonno Mosè, con cui ce l'aveva particolarmente. Infatti tra loro due era in corso una faida che manco i Montecchi e i Capuleti: qui si parla di operai (la famiglia di mia nonna, i Dellavedova, e mia nonna stessa) contro "paisan", i contadini, ovvero i Croci. Per dirne una, mio nonno era sempre "urdinari 'me el boeu" che è un modo carinissimo per definire la sua raffinatezza. In realtà, qualsiasi rappresentante del genere umano veniva di tanto in tanto battezzato e registrato sotto le varie categorie di "matòc", "piugiat", "pujana" e via dicendo. Una filantropa, mia nonna. Riassumendo, a lei devo anche:
- il bilinguismo italiano-dialetto
- la mia abilità estrema nel taglio delle verdure (si partiva alle 17:00 del pomeriggio, quando non alle 16:30, con la preparazione del minestrone)
- la tendenza al pettegolezzo, sviluppata dalla sua emeroteca di riviste scandalistiche (Visto, Chi, Oggi e chi più ne ha più ne metta)
- l'abitudine ormai inestirpabile di trovare almeno un soprannome per ogni persona che conosco.

Ora, se dico che la nonna Filo è il filo rosso che passa attraverso le generazioni e ci porta a mia madre  non prendetemi in giro: la nonna-bis è stata un filo in tutti i sensi, perché ha dato il là a generazioni di sarte (io, devo ammettere, rappresento un tragico salto generazionale). E qui arriviamo a mia madre, l'insuperabile e inconfondibile donna al centro della scena, Rosadele Croci. Su di lei ci sarebbe un libro da scrivere e mi trovo in grande difficoltà nel limitarmi. Nasce nella "curta dei Crus" in un giorno di eclisse, e questo sarebbe sufficiente a convincere tutti gli scettici sull'influenza degli astri sulle persone. E' eclettica, un tornado di stati emozionali che sconvolgerebbe qualsiasi psichiatra: nessuno riesce a parlare quanto lei, con la sua velocità e usando una sintassi contorta come la sua. Diciamo che, nel mezzo di ogni suo monologo, si concede una pausa respiratoria di un quarto di secondo ogni mezz'ora.
Ha il piglio sarcastico della nonna Mariuccia e la grazia e il tono di voce del nonno Mosé, e la loro granitica etica (alla fine mio nonno e mia nonna qualcosa in comune ce l'avevano). Sì, perché "quel che è giusto è giusto" ( e non cito l'infinita serie di espressioni ricorrenti che utilizza in ogni enunciato).
Oltre a essere una mamma hard core, di quelle che ti mettono in pericolo di vita appena si muovono, è anche una sarta ammirevole (con una propensione per i colori lisergici e le fantasie optical  floreali), una lettrice instancabile, un chimico (Di Bella je fa 'na pippa!) e una scassamaroni di primissima categoria. Ancora oggi sospetto che mi abbia sempre taciuto il suo lavoro alla CIA come torturatrice psicologica. Una sua domanda non può mai, MAI, essere lasciata senza risposta. Scordatevelo proprio.
Tra le sue manie figurano anche i centrini di pizzo e l'astrologia: se passate da casa sua, oltre a subire un terzo grado sul vostro albero genealogico, la vedrete rivangare nel cassetto del tavolo della cucina e sfoderare uno dei suoi strumenti di tortura, l'oracolo tibetano! Vi dirà cose su di voi che nemmeno sospettavate, dovreste provare!
E' anche altre tre cose: un database vivente (conosce tutti, sa dove sono tutte le cose della casa, conserva tutte le mie bollette, ecc.), un'infermiera mancata (ha già la diagnosi in tasca dopo il primo sintomo e non sbaglia mai) e una stylist impareggiabile.

Avrete notato uno dei suoi capolavori di stile nella foto, l'outfit di mia sorella, Viviana Patregnani. Adina (perché così chiamo mia sorella) è stata la sua principale modella, e su di lei l'accostamento di colori lisergici ha raggiunto apici indiscutibili di bellezza. Ricordo ancora con le lacrime agli occhi una foto che la ritrae in tutina in acetato blu elettrico, calze di nylon verde mela e ballerine rosse. Questi abbinamenti l'hanno segnata per sempre, come l'ha segnata il praticissimo e spartano taglio di capelli che Rosadele le inflisse sin dalla prima infanzia: una rapatura marziale stile combat-lesbo, che anche io ho subito all'età di tre anni allo spuntare dei primi boccoli minacciosi di femminilità. La rapatura di mia sorella era però anche una figlia dei suoi tempi che gradualmente si trasformò in mullet.
Adina è ormai diventata madre a sua volta, ma mi piace ricordare i tempi in cui era solo la mia sorellona premurosa: a parte chiudermi la testa nella porta durante una lite con mio fratello, devo ammettere che da lei ho tratto molti benefici. Rappresenta il lato razionale e umano della famiglia, in tutto e per tutto: in lei tutti i conflitti si risolvono. Proprio per questo, è stata materia prima su cui forgiare le mie abilità. Su di lei ho ricamato una storia bellissima, che potrebbe diventare un film d'animazione. Ci ho creduto talmente tanto in questa storia che l'ho trasfigurata nel mio personaggio: infatti lei è Ada Ben, una bambina robustella e un po' speciale che vive chiusa in una torre, a dir poco taurina e brusca di modi. A dire la verità il personaggio le calza a pennello, tanto che nella mia famiglia, per indicare dei modi di fare un po' rustici e decisi diciamo "adoso".  Ad esempio è adoso il suo modo di appoggiare il bicchiere sul tavolo quasi sfondandolo; una volta ha perfino messo a repentaglio l'antichissimo talamo nuziale dei miei nonni sedendocisi sopra. Ha una sfilza di nomi, ognuno dei quali è collegabile a qualche cosa che ha colpito la mia infanzia, ad esempio la Tata del Conte Dacula o le "lezioni di sesso con Dolores" di Mai Dire TV. Da tante associazioni di questo tipo è nata Ada Ida Oda Viviana Cesira Dolores Samantha Rosalba Hilda Matilda Bina Palma Ursula Augusta Ben (questo il nome completo).

Non fatemi dire altro, se avete bisogno di racconti succulenti basta chiedere: per ora vi basti questo sunto su cinque generazioni di fenomeni. 







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