lunedì 1 ottobre 2012

Apologia felina n.1

Ho scoperto di volere un gatto con tutte le mie forze. All'inizio sublimavo il mio istinto materno nei confronti di questi felini ricoprendo di sfottò l'istinto paterno di un mio amico nei confronti della sua gatta, Dharma. Ho addirittura aperto un gruppo su Facebook dedicato a lei, con lo scopo primario di raccogliere donazioni per la sua sterilizzazione, che le avrebbe permesso di uscire libera in giardino, lontana dall'occhio indagatore del padre-padrone. Poi il gruppo è diventato un inno alla liberazione sessuale della suddetta gatta. Infine è rimasto solo un pretesto per condividere cazzutissimi meme sui gatti con persone che ancora oggi non mi vedono di buon occhio.

Con lo scopo di aggiornare il gruppo perorando la causa di Dharma, mi sono data alla ricerca ossessivo-compulsiva di immagini stupide di gatti come questa :


A furia di guardare centinaia di foto di gatti, sempre impareggiabili nelle loro pose ed espressioni rispetto a qualsiasi altro essere vivente, il mio amore atavico per loro continuava a crescere a dismisura. Ho persino cambiato la mia immagine profilo di Facebook (e tutti comprenderanno l'importanza della questione data  la portata di un tale gesto) mettendoci un gattino incoronato da putti di Tokuhiro Kawai.

Il passo successivo non poteva che portare alla luce il mio inconscio attraverso la  principale attività che svolgo: la lettura. Tra tutti i libri impolverati che mi circondano e che non ho ancora letto ne ho scovato uno, di cui conoscevo l'esistenza ma che avevo tenuto volontariamente e freudianamente lontano dalle mie grinfie: Io sono un gatto di Natsume Soseki.

491 pagine di racconto della vita di un gatto raccontata dal gatto stesso. Con un ricco apparato di note e delucidazioni sugli elementi di cultura giapponese che compaiono nel racconto. Ce l'ho fatta

Chi mi conosce sa che sono deprecabilmente pigra, e che spesso, nonostante la mania, il volume di un libro può diventare un elemento discriminante per procrastinarne la lettura. Dunque, se mi sono smazzata il malloppazzo, per dirla con un'allitterazione, vuol dire che ero effettivamente attirata da ciò che un gatto potesse dirmi di sé. Ero pronta per iniziare ad affrontare la realtà: il primo scalino, il contatto con la carta e con le parole, era conquistato. 

Se non che ho scoperto, decine di pagine dopo e con un pizzico di disappunto, che il felino senza nome, nonché io narrante della storia, non era assolutamente interessato al mondo dei gatti, ma a quello degli uomini. Ma ecco la folgorazione:  i nostri pensieri erano frecce di un cupido allo specchio. E' stato amore. Se tu mi vuoi, io ti voglio. 

Vincendo la resistenza iniziale mi sono abbandonata alla minuziosa e implacabile osservazione del genere umano, scoprendo un'affinità incredibile tra me e il felino senza nome: siamo due portinai mascherati da pensatori e due filosofi prepotentemente calati nel quotidiano


La conclusione di questo sproloquio è che voglio un gatto. Se qualcuno di voi ipotetici lettori mi potesse aiutare nell'impresa si faccia avanti!

Rendo grazie pubblicamente:

  • alla mia anarco-socia a delinquere nel situazionismo Vally, senza il cui prezioso aiuto non avrei mai potuto realizzare e mantenere attivo il gruppo Facebook "Aiutiamo la gatta di Cili ad emanciparsi sessualmente";
  • ai giapponesi e al loro amore per i gatti;
  • a Sbirignigni, il gatto di Nicole, che merita un post a parte;
  • al gatto senza nome del libro, che mi ha dato coraggio nel continuare ad essere come sono. Per questo lo cito rendendo grazie. 














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