giovedì 6 marzo 2014

Alma y agua

Tierra. Terra desertica, gialla, arida, dove vivono piante e arbusti negli spartitraffico, ai bordi delle strade. Gusci vuoti, enormi, scheletri neri e grigi, dentiere senza denti, i capannoni sparsi tutti intorno. Alcuni hanno finestre dai vetri riflettenti, sembrano abitati. Altri sembrano semplicemente quello che sono, fantasmi.
Il pulmann va via dritto seguendo le curve, arrivi in città e tra i palazzi enormi, alveari e formicai, c'è solo aria. Aria, spazio, cielo nuvoloso e vento. Vento sempre.
La porta dell'Hostal è dipinta di rosso sangue. All'interno un acquario al neon. Ma no, me l'avevano detto sull'aereo. L'anima del posto è il fiume, l'acqua.
Non ricordo di aver mai prestato così tanta attenzione alla storia in vita mia. Ecco il concetto di strato in tutte le sue forme. La piazza principale è aria, anche quella. C'è dell'acqua, sì, ma è finta. Eppure colpisce. Sembra uscire da una spaccatura del terreno, genio artistico ben speso per questa fontana. Cammini un po' più in là e capisci. Ebro. Gigante, sontuoso, in piena ma dignitoso, tranquillo. Spaventoso, come sempre. Non mi è mai passata la paura dei fiumi; è la paura del fascino, suppongo. Un fiume così si merita tanti ponti, dalla bellezza alla bruttura e viceversa. Strati di storia, linee di congiunzione.
Il sole è abbagliante. Le rovine. Una città si erge sempre su rovine, sui resti. Te lo puoi dimenticare, l'ho sempre dimenticato, non qui. Il passato, qui, è presente. Sopravvive, annidato nelle decorazioni, nelle piastrelle, nelle opere d'arte e nelle mura, nei resti di edifici.
Le case demolite aprono delle finestre di vento tra i palazzi, al loro posto graffiti enormi e l'ombra della casa morta che rimane sulla parete adiacente. Il passato è presente.
Hai l'impressione che tutto sia fermo, immobile ma fermo, come l'acqua del fiume. La gente non corre, non ha fretta. Si procede tranquillamente: perchè a casa mia questo non è possibile? Potrò fare mia questa attitudine?
La sera un bicchiere di birra o di vino mi riscalda le osse infreddolite dal vento. Hai l'impressione che si guardi sempre da un'altra parte per discrezione. Mi piace la discrezione, nasconde qualcosa di una persona e la rende affascinante; soprattutto a me, che odio le vetrine.
Ciò che mi piace di questo posto è che tutto sembra accessibile: è tutto qui, vuoi vedere? Puoi farlo, se vuoi. Se non vuoi, fa lo stesso. Non ti vendiamo fumo. Zero souvenir. What you see is what you get.
Mi fa tenerezza la storia. Per la prima volta ho pensato più al passato che al presente. Ho pensato a loro, agli uomini che sono vissuti, che hanno costruito, che hanno lottato, che sono morti, che hanno pianto. Viaggio nel viaggio, retrospettiva nemmeno troppo malinconica. Ti sposti sulla linea della storia fino a pochi anni fa. Ecco, questo passato è a un soffio dal presente e sembra più lontano del mudéjar, dei santi e dei martiri, dei mori e degli ebrei, delle principesse frignone dal cuore spezzato e dai romani orgogliosi della loro nuova città portuale ma fluviale. E' un tratto di tempo al quale è stato grattato via lo spazio; lo spazio è stato riempito ma si è presto svuotato: non è questo il concetto di fluidità? Gli edifici assomigliano a esoscheletri, come quelli dell'inizio del viaggio. C'è una continuità, un cerchio che si chiude. Il tempo dunque è ellittico, forse concentrico. Non c'è anima viva. Sì che c'è. Ci sono gli uccelli d'acqua, chi meglio di loro può essere  padrone qui. Ci sono le piante in un ascetico giardino botanico.  Sul ponte pedonale ti giri nelle quattro direzioni: il centro vivo, cuore pulsante e acquatico, è lontano. La strada sembra ferma, morta e la caleidoscopia dei lampioni ti ipnotizza. Idem dietro di te. Lontano, dall'altra parte, il deserto.


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